E’ di due giorni fa la sua ultima intervista. Danilo Di Luca parlava con la Gazzetta dello Sport: faceva il punto sul suo (splendido) Giro d’Italia. Sempre protagonista, sempre all’attacco, disponibile con i compagni di squadra pur senza abbandonare le ambizioni personali. Quando si alzava sui pedali, Di Luca emozionava: sono in tanti gli appassionati che avrebbero voluto vederlo alzare le braccia al cielo sotto il traguardo per una vittoria di tappa. Perché ci credeva, perché stava dando tutto. Per se stesso, e per le tantissime persone presenti sulle strade del Giro d’Italia.
In quella stessa intervista, Danilo affrontava anche l’argomento doping: nel 2007 l’abruzzese fu squalificato per tre mesi a causa della sua frequentazione con il dottor Santuccione, quindi, nel 2009, fu fermato per 2 anni (poi ridotti a 15 mesi per la sua disponibilità a collaborare) per via della positività al Cera. “Il doping – diceva – è un momento di debolezza. E mi fermo qui perché parlarne fa male. Il momento in cui vieni scoperto è terribile, perché in un modo o nell’altro devi parlarne con le persone che ti stanno attorno: la famiglia, i parenti, gli amici veri”.
Danilo Di Luca, ora, dovrà tornare ad affrontare gli stessi fantasmi. Nel giorno in cui il Giro d’Italia si ferma per via della cancellazione della 19esima tappa a causa del maltempo, il Killer di Spoltore smette per sempre i panni del corridore. Positivo all’epo. In un test antidoping a sorpresa effettuato il 29 aprile a causa sua. Di Luca aveva da poco ufficializzato il suo passaggio alla Vini Fantini e con la squadra di Luca Scinto si stava preparando al Giro d’Italia, che avrebbe poi preso il via da Napoli pochi giorni più tardi.
Rabbia. Tristezza. Incredulità. La sua positività fa male. Il ciclismo, che tanto aveva fatto per riacquistare credibilità agli occhi della gente, viene nuovamente spinto in basso per colpa del doping. Di Luca è stato tradito dalla sua stessa voglia di vincere, che invece ha finito per farlo perdere. Davanti a sé ora ha solo una strada: dire tutto, ma proprio tutto. E liberarsi dei fantasmi che hanno distrutto l’atleta, ma che – cacciandoli via – gli consentirebbero di salvare almeno l’uomo. E’ l’augurio che ci sentiamo di fargli. Il ciclismo si rialzerà, ancora una volta, come ha sempre fatto e senza l’aiuto di nessuno: perché le emozioni che questo sport è capace di regalare, per quanto spinte verso il basso, non potranno mai smettere di volare verso il cielo.